Approfondimenti

La Deposizione del Rosso Fiorentino (Volterra)

4 ottobre 2021
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Imponente per dimensioni, travolgente per contenuti emotivi drammatici e bizzarrie compositive e cromatiche. Sto parlando della Deposizione dalla Croce del Rosso Fiorentino.

Titolo: Deposizione dalla Croce
Chi:  Giovan Battista di Jacopo di Gasparre, detto il Rosso Fiorentino (Firenze, 8 marzo 1494 – Fontainebleau, 14 novembre 1540).
Quando: 1521
Dove: Volterra (PI) , Pinacoteca e Museo Civico
Tipologia: olio su tavola
Dimensioni: 3,41 x 2,01 m
Committente: Compagnia della Croce di Notte

DESCRIZIONE

La composizione è quella tipica della deposizione dalla croce del corpo di Gesù. Riprende molto quella dipinta da Filippino Lippi, poi terminata dal Perugino, eseguita per la chiesa della SS. Annunziata di Firenze ma che oggi potete vedere alle Gallerie degli Uffizi.

Ma quindi, vi chiederete, cosa rende questa pala così particolare rispetto alle altre deposizioni del tempo? E soprattutto, perché é considerata il capolavoro del Rosso?

La scena rappresenta il momento dello schiodamento del corpo. Il cielo è ancora buio perché come racconta Matteo, al momento della morte del Cristo, la terra fu completamente avvolta dalle tenebre. Ma il Rosso osa e non rappresenta solo lo schiodamento ma decide di raffigurare il momento (che non è descritto da Matteo) in cui il corpo è sul punto di cadere dalle mani dei depositori.

Infatti, se notate, c’è molta agitazione tra  questi uomini che cercano di evitare in tutti i modi la caduta grazie alle indicazioni di Nicodemo, il vecchio che si sporge sulla parte superiore della croce.
Di solito, nelle raffigurazioni classiche delle deposizioni, questi uomini sono raffigurati affaticati, tristi. Qui invece sembrano demoni urlanti e scatenati. Anche il corpo di Cristo è raffigurato differentemente dall’iconografia classica dove il corpo è armonioso, bello.

Invece qui, nella pala del Rosso, prende i classici connotati di un cadavere: il corpo è disarticolato, il colore è livido tanto che fece pensare ai suoi contemporanei, che il Rosso avesse dissotterrato un morto e lo avesse ritratto. Poi sicuramente è insolito vedere un Cristo morto che sembra che sorrida!
Ma le novità sono anche nella parte inferiore del dipinto con l’originalissima idea di raffigurare la Maddalena che si getta ai piedi della Madonna e non della croce come spesso avveniva. Nuova è anche l’idea di raffigurare San Giovanni che esprime il suo dolore voltando le spalle al patibolo coprendosi il volto con le mani.

A questo punto se osserviamo bene l’opera ci rendiamo conto che nella tavola ci sono due scene autonome, contrapposte, che esprimono sentimenti diversi: la nervosa urgenza, un’esplosione di emotività sopra, e la parte dedicata al dolore e alla tristezza sotto. C’è Maria, composta nel suo dolore, sorretta dalle pie donne, disperati la Maddalena e San Giovanni Evangelista.

Nella parte superiore gli uomini sembrano avvolti nel vento e schiacciati dal peso del cielo, in quella inferiore non si muove una foglia. All’ immobilità del corpo privo di vita di Gesù si contrappone la vociante concitazione degli uomini, arrampicati precariamente sulle scale. I personaggi più in alto hanno per lo più il corpo scoperto per evidenziare la tensione dei muscoli mentre gli arti assumono pose spigolose, creando veri e propri angoli retti.

Nella parte inferiore invece i personaggi sono seminascosti dalle vesti. Non hanno pose spigolose ma sono statici, in piedi con il capo chino, per accentuare il dolore del momento. Solo la Maddalena ha uno slancio che praticamente anima e da forza a tutta la scena anche grazie alla contrapposizione della croce che è fissa, tozza e statica conferendo così un effetto di intensa drammaticità.

Noterete che c’è una contrapposizione tra alcuni soggetti fin troppo realistici come ad esempio il corpo di Gesù e altri fantastici, poco realistici come l’abito della Maddalena pieno di sfaccettature da farlo sembrare di legno, o i piccolissimi personaggi sullo sfondo blu lapislazzuli (che riprende lo sfondo degli affreschi di Cenni di Francesco), ovvero gli armigeri, in pose arroganti, simbolo della perfidia e della malvagità umana che ha condotto Gesù sulla croce, sono rese con una fisionomia incerta, fantastica quasi mostruosa.

E’ proprio grazie a questi elementi di contrasto che il Rosso riesce a coinvolgere al massimo l’osservatore, un osservatore che avvertirebbe anche un forte senso di drammaticità. 
Questa è dovuta a diversi fattori tra cui il movimento convulso di alcuni personaggi, come abbiamo visto prima la Maddalena, ai colori intensi prevalentemente rosseggianti che accentuano il contrasto con il cielo. La luce poi, proviene da destra fortissima creando netti cambi chiaroscurali con effetti cangianti che diventano quasi bianchi nei punti di maggiore luminosità rispetto allo sfondo.

La deformazione dei corpi e dei volti ai limiti dell’esasperazione come nel caso di Nicodemo affacciato in alto sulla croce con il viso contratto tanto da sembrare una maschera.
Altra cosa molto particolare è che in alcuni punti la stesura del colore è talmente sottile che è possibile vedere i ripensamenti sul disegno nel momento stesso in cui dipingeva e anche le annotazioni dell’artista sui colori da impiegare ma che poi verranno cambiati in corso d’opera. Ad esempio alla donna in primo piano a sinistra è stato aggiunto lo scialle direttamente sulla tavola su una bozza che prevedeva solo la veste con una cintura.

In altri punti invece il colore è denso, steso con colpi rapidi e concisi, mai fluido e pacato come nel caso della barba di Nicodemo costruita a colpi di pennellate come pastelli premuti con violenza, o il volto di Gesù tipici insomma di chi sta dipingendo senza la guida di un disegno. Eppure non mancano i disegni preparatori.

Perché agiva in questo modo?

Perché il Rosso concepiva l’opera finita come il risultato di un processo ininterrotto e in continuo divenire fino allo stato finale dell’opera, raggiunto dopo molti cambiamenti e pentimenti.
In questo modo di concepire l’arte sicuramente c’era il ricordo del “non finito” di Michelangelo, vale a dire il limite che ha la tecnica di fronte all’infinità dell’idea.

ICONOGRAFIA

Il quadro è ritenuto un capolavoro in quanto rompe con gli schemi artistici rinascimentali anche se per alcuni aspetti si ispira ai maestri che lo hanno preceduto.

Infatti la pala si rifà molto alla deposizione di Filippino Lippi poi terminata dal Perugino che si trovava nella chiesa della Santissima Annunziata a Firenze. Molto simile è infatti l’impostazione della croce con le due scale laterali, una appoggiata sul davanti e una sul retro. Eppure si differenzia per molti aspetti. La parte dei depositori nella pala del Rosso appare più sconvolta, con ritmi brevi e veloci.
La croce, qui, grossa e tozza, che attraversa tutta la pala, e le tre scale, ognuna con una direzione diversa, costituiscono gli elementi che determinano lo spazio, uno spazio limitato e compresso rispetto alla pala del Lippi.

Per il personaggio di San Giovanni, il Rosso si è molto probabilmente ispirato all’Adamo della scena della “Cacciata dei Progenitori” di Masaccio nella Cappella Brancacci  Santa Maria del Carmine a Firenze.
Da Michelangelo, invece, riprende il braccio abbandonato del Cristo, molto simile a quello della Pietà vaticana; le proposte cromatiche, analoghe a quelle delle lunette della Cappella Sistina; mentre il depositore di spalle con il vestito giallo assomiglia ad una figura del perduto cartone della Battaglia di Cascina.

La figura del depositore urlante è simile alla Deposizione degli Uffizi ma si differenzia per stile ed emotività. Sembra più derivare dalle stampe di Dürer che erano molto in voga al tempo del Rosso. Lui conosceva la pittura nordica dove il dipingere si identifica con una dimensione esistenziale.

Il ruotare scattante dei mantelli dei depositori ricorda i baldacchini librati e ruotanti che sovrastano le madonne dipinte da Fra Bartolomeo.
La linea spezzata, con riprese e sovrapposizioni, il tratteggio fitto, eseguito da una mano insoddisfatta, angosciata e quasi irosa; un clima mentale del tutto simile a quello di Andrea del Sarto.

STORIA

Non è sicuro che il Rosso abbia soggiornato a Volterra. Ma viste le dimensioni delle tavole volterrane (sia la Deposizione che la pala di Villamagna) si pensa che il trasporto non fosse stato agevole e che quindi probabilmente era in loco.
Inoltre tra il 1518 -1521 il Rosso va via da Firenze dopo la delusione della Pala per Santa maria Nuova e pertanto va alla ricerca di committenti che meglio si addicessero alla sua concezione di arte.

Infine non si firma solo con il soprannome ma anche con la città di origine (Rubens Florentines) cosa che non faceva a Firenze. Lo rifà a Roma per la pala del Vescovo Tornabuoni. In questo periodo il Vasari lo fa in giro a la Toscana (Piombino).

L’opera fu dipinta per la Cappella della Croce di Giorno a Volterra nella chiesa di San Francesco. Dove le pareti erano già affrescate con le “Storie della Croce” di Cenni di Francesco di cui il Rosso riprende il blu lapislazzuli per lo sfondo della Deposizione. E’ suggestivo immaginare la deposizione all’interno di questo ambiente dove tutti i colori e i personaggi si animavano col brillio delle candele e delle lampade.
Dopo la soppressione della chiesa, nel 1788 il dipinto fu trasferito nella cappella di San Carlo in Duomo.

CURIOSITA’

Fu di riferimento iconografico di Pier Paolo Pasolini in una scena del film “La Ricotta” del 1963.
Sembra che le figure dei depositori, con i profili accigliati e un po’ truci, con i capelli scompigliati, le barbe incolte, i corpi magri e sgraziati, così lontani da quelli dipinti dai seguaci della maniera, provengano da incontri occasionali con la gente del posto. Persino il Cristo, con quella profonda infossatura proprio sotto la mascella sinistra, pare fare il riferimento al corpo di un condannato a morte per impiccagione avvenuta Volterra proprio in quel periodo.

C’è chi addirittura ritiene che anche le urne etrusche volterrane, con la loro classicità sconvolta e alternativa, avrebbe potuto ispirare il Rosso.
La firma si trova su un’iscrizione sul piede della scala in basso: RUBEUS FLOR. A.S. MDXXI.

CONCLUSIONI

Giorgio Vasari lo descrive come uno sperimentatore ai limiti della norma e della tradizione e la pala di Volterra rappresenta il suo apice da questo punto di vista. Da questa opera in poi attuerà una serie di sperimentazioni attraverso la ricerca di nuovi schemi e nuovi equilibri tra emozioni e struttura della composizione. Sempre il Vasari lo definisce un’artista eccentrico, intellettualmente irrequieto tanto che si isolò dall’ambiente artistico fiorentino.

Continua la descrizione definendolo un artista molto poetico nella composizione delle figure, nel disegno era fiero e con un gusto stravagante, ricco d’animo e di grandezza. Sosteneva che era anche di bell’aspetto, cosa che non guasta. In base ai disegni preparatori sul San Giovanni molti sostengono che il santo non è altro che un suo autoritratto negato, anche lui si rende partecipe come credente e peccatore. Inoltre  aveva lo stesso nome del santo, precisamente, Giovan Battista di Jacopo di Gasparre ed aveva i capelli rossi, da qui il suo nome, Rosso Fiorentino.

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Bibliografia:
R.P. Ciardi, M. Bocci, F.A. Lessi – “Il Rosso Fiorentino. Deposizione dalla croce. Volterra”, 1987.
A. Natali, C. Falciani – “Rosso Fiorentino”, Art Dossier, Giunti, 2014.

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