Michelangelo ha solo 26 anni quando, nel 1501, si propone per scolpire il David. La Cattedrale di Firenze desidera decorare i contrafforti con statue di profeti, e nei magazzini dell’Opera del Duomo esiste un blocco di marmo, proveniente dalla cava di Fantiscritti a Carrara, alto oltre 5 metri, inutilizzato da decenni. Prima di lui ci avevano provato Agostino di Duccio e Antonio Rossellino, ma entrambi lo avevano abbandonato, giudicandolo troppo fragile e difettoso.
Michelangelo, no! Lui accetta la sfida. Vuole dimostrare alla sua città di essere un grande artista, non solo a Roma, dove due anni prima aveva già realizzato la celebre Pietà nella Basilica di San Pietro, ma anche a Firenze. Per lui, quel blocco non è solo marmo: è una sfida personale e artistica.
Tra il 1501 e il 1504 Firenze è una Repubblica. I Medici sono stati cacciati nel 1494 e la città è in fermento politico e culturale. Dopo il governo teocratico di Savonarola, sale al potere un governo repubblicano guidato da Pier Soderini, Gonfaloniere di Giustizia: un simbolo di laicità e civismo.
Siamo nel pieno del Rinascimento fiorentino. L’arte diventa espressione di ideali morali e politici, un linguaggio potente per raccontare la libertà, la virtù e l’identità della città.
Michelangelo lavora all’aperto, nei giardini dell’Opera del Duomo. Il blocco è già sbozzato, fragile, pieno di venature. Deve stuccare, rinforzare, salvare ogni centimetro. Per lavorare in tranquillità, lontano da curiosi, si fa costruire una recinzione.
Ma l’opera non passa inosservata. Pier Soderini la vede e resta talmente colpito che propone di non collocarla più in alto, dove nessuno l’avrebbe vista. È troppo bella per stare su un contrafforte!
Nel 1504, Michelangelo termina la statua. Una commissione di artisti decide dove collocarla. Tra loro ci sono Leonardo da Vinci, Botticelli, Filippino Lippi e molti altri. Le opinioni sono diverse: c’è chi la vuole davanti alla Cattedrale, chi sotto la Loggia dei Lanzi…
Leggenda vuole che Leonardo da Vinci, notoriamente non grande fan di Michelangelo, avesse proposto di metterla in una zona molto defilata: sotto la loggia dei Lanzi, in fondo a destra, poiché geloso. Molto probabilmente pensava solo a come preservare il marmo.
Il David ora, non è solo un personaggio biblico: è il simbolo della Firenze libera, repubblicana, coraggiosa. È l’eroe civile che sfida il gigante Golia, che in quel momento ha il volto dei Medici. La statua diventa un manifesto politico scolpito nella pietra.
Il trasporto in Piazza della Signoria richiede un mese. Michelangelo lo rifinisce direttamente in loco. Durante questa fase nasce un celebre aneddoto: Soderini critica il naso del David, dicendo che è troppo grosso. Michelangelo finge di scolpirlo, facendo cadere un po’ di polvere. Poi chiede: “Adesso va meglio?” E Soderini, soddisfatto, approva.
Quando si dice che la gente parla a sproposito…ce lo dimostra quel mattacchione di Michelangelo!
L’8 settembre 1504 il David viene svelato al pubblico. Firenze resta senza fiato: una statua così grande, così viva, non si era mai vista. Indossa una ghirlanda dorata da atleta vittorioso, e dettagli dorati risplendono anche sul tronco e sulla fionda.
Ma la sua storia è turbolenta. Durante il trasporto viene colpito dai sostenitori medicei. Poi un fulmine danneggia il basamento, e nel 1527 si rompe un braccio durante una rivolta. I frammenti vengono salvati da Giorgio Vasari e Francesco Salviati. In seguito sarà restaurato per volontà di Cosimo I de’ Medici. Ma non finisce qui! Nell’Ottocento pensano bene di restauralo con metodi abrasivi e la frittata è servita!
Nell’Ottocento, lo stato del marmo preoccupa. Tra il 1872 e il 1882 il David viene spostato all’interno della Galleria dell’Accademia. Si utilizza una gabbia di legno su rotaie e nel frattempo Emilio De Fabris si occupa di progettare la tribuna dove la statua sarà collocata.
Una volta dentro, il David cambia status. Non è più solo un simbolo civico, ma diventa l’icona dell’arte universale, “l’uomo più bello del mondo”.
Oggi il David ci guarda con i suoi 5,17 metri di marmo. È un giovane determinato che affronta un gigante con solo una fionda e la fede in Dio. Il suo sguardo è concentrato, le pupille traforate catturano la luce e rendono lo sguardo più penetrante. Non vediamo la testa di Golia: siamo nel momento prima dello scontro.
La mano destra stringe la parte finale della fionda, la sinistra è tesa. Il collo e le narici mostrano tensione. Si nota anche una leggera smorfia che tradisce un sentimento di disprezzo verso Golia. Michelangelo ha studiato i cadaveri: l’anatomia è accurata, anche se talvolta esagerata per rafforzare l’effetto drammatico. Basti vedere il polso sinistro che mostra un muscolo che sarebbe evidente solo se il mignolo fosse alzato ma così non è.
Michelangelo rappresenta il David non come un fanciullo, ma come un giovane uomo nel pieno della forza. Si distacca dalle versioni precedenti di Donatello e Verrocchio, eseguite per celebrare i Medici. Questo David è repubblicano e fiero.
Il David guarda il suo nemico che proviene dalla sua sinistra. Nell’iconografia medievale i mali venivano sempre da sinistra, da cui il termine “sinistro“.
La posa richiama la statuaria antica, il famoso Canone di Policleto, con la gamba destra tesa e il braccio sinistro attivo e viceversa. Come anche l’espediente del tronco a sostegno della gamba. Le mani e la testa sono grandi, non solo per ragioni ottiche (ricordi? Doveva essere posto su un contrafforte): è con la mente e con le mani che l’uomo costruisce il suo destino.
Il David non dice: “Ho vinto”, ma “Sono pronto alla sfida”.
Quando viene musealizzato, i fiorentini sentono un vuoto e non intendo solo quello spaziale. Si tenta di rimpiazzarlo con una copia in bronzo di Clemente Papi, ma non piace. Si opta quindi per una copia in marmo di Luigi Arrighetti. Il bronzo finisce al Piazzale Michelangelo.
Nel 1909 i Prigioni vengono spostati dal Giardino di Boboli alla Galleria dell’Accademia per introdurre il visitatore al capolavoro.
Il David può essere visto come un racconto che comincia con un blocco imperfetto e finisce con l’essere l’emblema della perfezione.
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